“Sono passati 11 anni da quando me ne sono andata di casa e credo che in ogni città in cui ho vissuto, camminando la sera in un viale alberato, fissando il metrò sfrecciarmi davanti, guardando il cielo fuori dalla finestra – qualsiasi finestra, in qualsiasi città – ho sempre cercato il mare. Non credo nell’appartenere ad un luogo solo, né che chi si allontani viva in un perenne esilio dell’anima. Credo che ognuno di noi si appartenga e si abiti e che il contesto attorno a noi cambi a seconda della prospettiva con cui lo guardiamo. Però ci sono delle cose da dire su dove torniamo quando torniamo a casa. A casa mia quando tira vento tutti sanno se sia o no il caso di coprire il bucato. Mia nonna dice di non riuscire più a impastare le polpette, ma sta a guardare attenta le mani di mia madre. La gente si ferma a parlare anche per mezz’ora, quando si incontra, come se non avesse un pensiero al mondo. Le ore lente del primo pomeriggio seguono un tempo tutto loro, imprevedibile: un giorno sono le tre, la settimana dopo sono le cinque, e dieci minuti dopo sono le nove. Ma non importa, tanto si esce dopo cena. A volte sotto casa incontro la sarta che aggiustava i vestiti alla nonna, e mi saluta come se fossi sua. Nelle notti d’estate quando torno a piedi non mi guardo le spalle, perché forse ingenuamente mi sento al sicuro – ci si sente al sicuro a casa propria. Soprattutto, a casa mia il mare si vede dalla finestra e il sole affonda nella Sicilia come se fosse una coperta sotto la quale si rifugia, sbadigliando.
Si dice che la nostra generazione sia fuggita perché non ci sentivamo capiti da Reggio – ma la verità è che nessuno vuole farsi capire a 18 anni. Si dice che Reggio sia piccola, chiusa, che non sia abbastanza per conoscere la vita davvero – a me queste cose fanno sorridere, come se ci fossero vite più o meno piene, intense, felici o tristi di altre, e che questa cosa dipenda da dove tu sia, e non da chi sei.
Si dice, che Reggio sia una prigione, che sia un paradiso, che sia una discarica, una gemma di archeologia e natura, e forse tutte queste cose sono vere contemporaneamente, ma questo non si dice. Si dice, che chi se ne va è parte del problema. Si dice che cambia, si dice che non cambia. Si dicono tante cose su casa mia, le dicono tutti, perché chi è andato, come chi è rimasto, non fa forse che chiedersi cosa avrebbe scelto di fare se avesse davvero avuto scelta. Si dicono tante cose – ma credo che sia perché tutti, nei viali alberati, fissando il metrò sfrecciare davanti, guardando il cielo fuori dalla finestra – qualsiasi finestra, in qualsiasi città – sempre, cercano il mare”.
Emanuela
Emozionante, grazie per questa storia di fede reggina #storiedifedereggina